
ANCONA – Le piccole e medie imprese italiane invecchiano e a giugno 2025 i titolari d’impresa con almeno 70 anni erano il 10,7% del totale contro l’8,9% del 2015, con un aumento di 24.496 unità in un decennio. È la fotografia scattata da Unioncamere-InfoCamere sui dati del Registro delle Imprese delle Camere di commercio. Nelle Marche e in Umbria i titolari over 70 superano quota 14%. Il settore dove il fenomeno è più marcato è quello dell’agricoltura dove un titolare su tre (28,3%) ha almeno 70 anni. Subito dietro le attività estrattive (50,7%), la fornitura di energia (20,1%) e l’artigianato manifatturiero (9,6%).
Il sociologo dei processi economici dell’Università Politecnica delle Marche, Francesco Orazi, parla di «dati che confermano un andamento della struttura della popolazione italiana che è pluridecennale: l’Italia già dagli anni 70 ha imboccato la via della decrescita demografica, c’è stata una fase in cui questa decrescita è stata arginata dai flussi migratori, ma già negli ultimi anni il rapporto tra flussi migratori e bassi tassi di fecondità ha comportato un abbassamento di circa 2 milioni di abitanti per la popolazione italiana».
Un fenomeno, spiega, che deriva anche «da una sempre crescente tendenza del capitale umano, soprattutto quello più qualificato a espatriare e, quindi a trovare lavoro, in mercati esteri che sono molto più appetibili e che offrono salari molto più elevati. Una questione sottovalutata per molti anni dalle politiche economiche, nonostante insieme ad altri colleghi già 20 anni fa avevamo messo in evidenza quanto la struttura economica e industriale del Paese, Marche comprese, fosse pesantemente a rischio con la popolazione soggetta ad un progressivo invecchiamento».
L’esperto evidenzia che nell’ambito dell’imprenditoria è molto preoccupante il quadro del passaggio generazionale d’impresa, in particolare nelle Marche, una questione anch’essa pluridecennale che non è imputabile in via esclusiva ai cambiamenti demografici, ma ad una trasformazione culturale delle famiglie imprenditoriali: i figli molto spesso hanno preferito fare altre professioni, hanno studiato e scelto una via professionale diversa».
A mutare, osserva «è anche lo scenario culturale, nel senso che all’etica produttivistica dell’imprenditore, dello sviluppo locale si è sostituita sempre di più un’estetica del consumo che ha drasticamente trasformato il quadro culturale di questi territori». Il futuro per il professor Orazi «è molto complicato perché il tessuto produttivo marchigiano presenta delle eccellenze che probabilmente rimarranno sul mercato, ma presenta ancora una macro diffusione di piccole imprese che probabilmente risentiranno sempre di più della congiuntura economica, come ad esempio dei dazi».
L’ingresso delle Marche nella Zes «sancisce che la regione si sta tendenzialmente ‘rimeridionalizzando’: tutta una serie di indicatori di sviluppo sono sotto il livello della media nazionale». «Mi auguro che questo ingresso nella Zes, che significa anche avere più facilmente fondi a disposizione, possa essere vissuto come un volano di rilancio per un tessuto produttivo che comunque ha mostrato anche una sua dinamicità nel tempo, ma che oggi è fermo ed è fermo da almeno 10 anni». Per l’esperto «bisogna sperare che al centro della struttura produttiva vengano rimesse le competenze».
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