
L’Unione europea e gli Stati Uniti hanno trovato un’intesa sul nuovo regime tariffario: tetto massimo del 15% ai dazi su gran parte delle esportazioni europee, compresi settori strategici come automobili, semiconduttori, farmaci e legname. Per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen si tratta di “stabilità e sicurezza per cittadini e imprese” e di un passo avanti nella cooperazione economica transatlantica.
Dietro l’ottimismo di Bruxelles restano però diversi nodi. Il più evidente riguarda l’agroalimentare: vino, birra e liquori non rientrano nell’elenco dei prodotti coperti dal nuovo regime e rimangono quindi esposti a tariffe penalizzanti. Una scelta che colpisce in particolare l’Italia, primo esportatore mondiale di vino, dove migliaia di imprese medio-piccole rischiano di vedere compromessi mercati cruciali.
Dazi amari, a rischio le piccole/medie imprese, salvi i colossi
L’accordo tutela di fatto i comparti industriali ad alta concentrazione di capitale — auto e farmaceutica in primis — ma lascia più scoperti quelli dove il lavoro è diffuso e frammentato. È un equilibrio che riflette la struttura del potere economico europeo: le grandi aziende ottengono garanzie, mentre le produzioni agricole e manifatturiere più legate ai territori rimangono vulnerabili.
In prospettiva geopolitica, la dichiarazione congiunta rappresenta più una tregua che una pace: la logica dei dazi come strumento di pressione politica non è stata archiviata, ma solo sospesa. Per l’Ue la sfida rimane quella di dotarsi di una strategia commerciale autonoma e coerente, capace di difendere l’intero tessuto produttivo e non solo i suoi settori più forti.
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