
Il mondo dell’economia globale somiglia sempre più a una scacchiera.
Ogni mossa – un accordo commerciale, una tariffa, un’intesa diplomatica – sposta equilibri, apre spazi o chiude opportunità. L’ultima partita si è giocata tra Bruxelles e Washington: dopo settimane di attesa è arrivata la dichiarazione congiunta sui dazi. Gli Stati Uniti confermano un’aliquota del 15% su gran parte dei prodotti europei: farmaceutico, automotive e vino compresi. Una mossa dura, ma che almeno sgombra il campo dall’incertezza. Perché se c’è qualcosa che pesa più di un dazio, è non sapere quali regole valgono. Ed è qui che emerge un paradosso: l’accordo penalizza, ma allo stesso tempo offre chiarezza. Per le imprese non è poco: poter decidere avendo davanti una scacchiera leggibile è già un vantaggio. Non più mosse affidate al caso, ma scelte fondate su un quadro definito. La partita si complica, certo, ma almeno la logica è chiara.
Per l’Italia, il colpo rischia di essere meno pesante che per altri partner. Nel 2024 abbiamo esportato negli Stati Uniti beni per circa 67 miliardi di euro: un mercato enorme, fondamentale. Ma la nostra forza sta nella natura stessa di ciò che vendiamo: prodotti di fascia alta, beni che raccontano creatività e saper fare. In questi segmenti la domanda non crolla per un rialzo di prezzo. È come muovere una torre: solida, difficile da abbattere con un colpo improvviso. Gli studi stimano un impatto di circa 7 miliardi di euro. Una cifra importante, certo, ma si inserisce in un export nazionale che supera i 700 miliardi. Non è uno scacco matto, è un promemoria: anche i migliori giocatori devono anticipare le mosse, non solo reagire. Il punto vero è un altro: non possiamo fissare lo sguardo su un solo lato della scacchiera. È vero, l’America resta un partner imprescindibile, ma il futuro si gioca anche altrove. Lo dicono i numeri: oltre 300 miliardi di export verso Paesi che insieme contano 300 milioni di abitanti; appena 30 miliardi nei mercati che ne raccolgono quasi dieci volte tanti. Una sproporzione che racconta da sola quanto sia necessario espandere la nostra visione. Basti un esempio: esportiamo 30 miliardi in Svizzera, Paese con meno di nove milioni di residenti, e solo 5 miliardi in India, un colosso da un miliardo e mezzo di persone. È come concentrare le mosse per catturare un pedone e ignorare che dall’altro lato della scacchiera stanno avanzando nuove opportunità. E non parliamo solo di numeri: è questione di visione strategica. Chi guarda lontano sa che la globalizzazione non è un nemico, ma un terreno di gioco dove il Made in Italy può brillare. Accelerare, innovare, spostare pedine dove gli altri non osano ancora guardare: questa è la sfida, e l’Italia ha tutti gli strumenti per vincerla. Anche piccole imprese, start-up e giovani imprenditori possono diventare alfieri e regine di questa partita, se osano muoversi con coraggio. La lezione è chiara: non significa abbandonare il mercato americano, anzi. Lì dobbiamo rafforzare la presenza e spingere ancora di più sulla qualità. Ma al tempo stesso serve guardare a Est e a Sud. L’Asia rappresenta una frontiera di crescita enorme, l’Africa – secondo il Fondo Monetario Internazionale – vivrà nei prossimi quarant’anni la più forte espansione economica del pianeta. E anche il Sud America rimane un terreno ancora poco battuto per i nostri brand.
La partita non si vince con un arrocco difensivo. Premia chi sa guardare dieci mosse avanti, chi osa muovere pedine su tutta la scacchiera. L’Italia ha tutti i pezzi per competere ovunque: creatività, manifattura di eccellenza, qualità riconosciuta. Deve solo credere in sé stessa e aprire il gioco. Chi osa muovere, chi gioca con intelligenza e coraggio, non è mai sotto scacco: è pronto a fare scacco matto agli altri.
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