22 Agosto 2025
Venti di guerra nel Mar dei Caraibi


USS Gravely, USS Jason Dunham e USS Sampson: questi i nomi dei tre cacciatorpediniere destroyer della marina americana dispiegati nel Sud del mar de Caraibi fino al limite elle coste venezuelane nell’ultima grave crisi tra Washington e Caracas. Un’operazione militare che la Casa Bianca giustifica come un’esigenza nella strategia di lotta al narcotraffico voluta da Donald Trump, ma che in Venezuela è interpretata come una minaccia interventista, con il presidente Nicolas Maduro pronto a mobilitare le forze armate e i riservisti della milizia bolivariana. Potrebbe essere solo l’ultima delle azioni intimidatorie americane, ma è giusto osservare che non si tratta di un gesto sporadico. La decisione arriva al termina di una serie di passi decisi nelle ultime settimane. Trump ha firmato lo scorso 8 agosto un decreto inviato al Pentagono dove si autorizzano interventi militari diretti in paesi terzi con lo scopo di annientare le rotte della droga che arrivano negli States. Azioni che non devono essere negoziate con i governi dei rispettivi paesi, un dettaglio di non poco conto che ha fatto suscitare la reazione della presidente messicana Claudia Sheinbaum.

Quest’ultima, che era pronta a siglare un nuovo accordo di cooperazione sulla lotta ai cartelli della droga con gli Usa, si dice sorpresa della decisione di Trump. “Agli Stati Uniti ribadisco un concetto che per noi è molto chiaro: non permetteremo mai che forze armate statunitensi né di nessun altro paese operino all’intero del nostro territorio nazionale”. Pochi giorni dopo è arrivata la taglia di 50 milioni di dollari sullo stesso Maduro, considerato da Washington il grande sponsor politico dei cartelli della droga e in particolare del famigerato Tren de Aragua, organizzazione composta da migliaia di uomini disseminati in tutta l’America Latina e negli USA e che gestisce parte del commercio del fentanyl che inonda le città statunitensi.

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A Caracas, ora, si annuncia la mobilitazione generale. Prima ha parlato il numero due del regime Diosdado Cabello che ha ribaltato l’ordine dei fattori. “Dobbiamo spiegare al mondo che non siamo noi ma gli Stati Uniti a fomentare il commercio di droga. La DEA dice di lottare contro la droga ma tutti sanno che è un’organizzazione criminale che alimenta il narcotraffico invece di combatterlo”. Subito dopo è arrivato lo stesso Maduro che ha definito Trump un pazzo. “È completamente impazzito, pensa di fare lo sceriffo del mondo e di intervenire dove vuole. Ma si sbaglia di grosso, noi siamo preparati di fronte a qualsiasi minaccia, nessuno ci fa paura, nemmeno l’Impero con i suoi artigli”.

Maduro ha annunciato di voler mobilitare i riservisti della milizia bolivariana. Secondo il governo venezuelano sarebbero 4,5 milioni di uomini e donne addestrati e pronti a immolarsi per la rivoluzione bolivariana, ma questi numeri non sono stati verificati da organizzazioni indipendenti e le esercitazioni viste finora rimandano più ad un esercito alla Sturmtruppen, con attempati bolivariani in camicia rossa e armi vetuste. “Alle minacce – ha detto Maduro – si risponde mostrando fermezza e preparazione. Stiamo attivando anche le forze di difesa nelle campagne e i nuclei di combattenti operai in tutte le fabbriche e centri produttivi del Paese”.

L’opposizione venezuelana, da mesi in clandestinità per paura di nuovi arresti e ritorsioni da parte del regime, celebra la decisione di Trump. La leader Maria Corina Machado ha più volte denunciato i legami del governo con i cartelli della droga, da anni chi si oppone al chavismo sogna con un intervento americano per poter spazzare via il chavismo. Da quello che si è potuto sapere, i tre destroyer stanno avanzando nel mar de Caraibi affiancati da aerei-spia e sottomarini tattici, si calcola che nell’operazione partecipino circa 4.000 marines. Il governo di Cuba, storico alleato di Caracas, ha confermato i movimenti e offerto la sua solidarietà a Maduro. Gli altri paesi del Sudamerica, per ora, stanno a guardare, anche se ufficiosamente c’è una certa preoccupazione per le conseguenze di una crisi che nessuno sa come potrà finire. Ci si chiede fino a dove è disposto ad arrivare Trump, giacché, va da sé, da parte di Caracas non c’è nessuna concessione e volontà di dialogo.       



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