23 Agosto 2025
La bolla all’ombra dell’Ia agita i mercati e fa scendere Big Tech


L’intelligenza artificiale minaccia di essere una bolla? Questa domanda non è nuova e su InsideOver ci troviamo nella posizione di poter dire di esserci posti questo interrogativo in tempi di tecno-entusiasmi e euforia da algoritmi, data center e chat generative.

Per la precisione, ne abbiamo discusso già nell’aprile 2024, dopo una settimana in cui senza colpo ferire sull’attività quotidiana le aziende legate all’Ia avevano bruciato a Wall Street 1 trilione di dollari in una settimana (più del valore dell’intera Piazza Affari), e nel dicembre successivo, evidenziando come la dipendenza da debito e investimento in capitale per l’Ia da parte dell’economia Usa lasciasse prefigurare dei rischi in tal senso.

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Altman e Mit, l’allarme sull’intelligenza artificiale

Il warning è d’obbligo, dato che ormai siamo nella fase in cui è doveroso parlare non solo di investimenti ma anche di ritorni sul capitale: e dunque non siamo stati stupiti del combinato disposto di quest’ultima settimana. Prima è sceso in campo Sam Altman, il giovane padre di ChatGpt, presidente di OpenAI, secondo cui “molti investitori sono sovraeccitati per l’Ia” e “alcuni di loro probabilmente perderanno molti soldi, e non voglio minimizzare la cosa, sarebbe un peccato”.

In secondo luogo, è giunto come un fulmine a ciel sereno un corposo rapporto del Massachussetts Institute of Technology (Mit), il progetto Nanda (Networked Agents And Decentralized Architecture) curato dai ricercatori Aditya Challapally, Chris Pease, Ramesh Raskar, Pradyumna Chari ha pubblicato la ricerca “The GenAI Divide – State of AI in Business 2025″ mostrando tutti i dubbi circa la capacità delle aziende di cogliere i ritorni delle imprese dagli investimenti in Ia, il 95% dei quali non sta generando esternalità economiche positive. Solo il 5% dei progetti di ChatGpt, Gemini, Copilot e altri strumenti messi in campo dai colossi industriali con un investimento di 30-40 miliardi di dollari, scrivono i ricercatori del Mit, sta movimentando al rialzo il conto economico delle imprese.

Un problema noto, danni immediati

Una voce autorevole tra un operatore tutt’altro che secondario, e al centro del grande progetto Stargate, sommata a una ricerca accademica da parte di una primaria università americana ha creato una certa maretta nel mercato. Ne è emersa, di conseguenza, una continua tensione tra gli investitori riflessasi in una correzione al ribasso degli indici tecnologici dopo mesi di entusiasmo. In un S&P500 profondamente concentrato, l’impatto è stato immediato: “i colossi che guidano il listino hanno perso complessivamente 631 miliardi di dollari di capitalizzazione”, nota in un report il Market Analyst di eToro Gabriel Debach.

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L’analista indica le perdite segnate dalle “Magnifiche Sette”, le prime aziende tecnologiche di Wall Street: “Nvidia -161 miliardi, Microsoft -125, Apple -100, Meta -86, Amazon -76, Alphabet -44, Tesla -38. Un arretramento sincronizzato che spiega più di mille parole l’effetto domino sul resto del mercato. Quando queste sette società correggono, l’intero S&P 500 viene risucchiato verso il basso, amplificando i movimenti indipendentemente dal comportamento degli altri settori”.

La correzione e le sue cause

Parliamo di una correzione trasversale dopo che erano state meno le aziende coinvolte a gennaio dall’ultimo terremoto, l’ascesa di DeepSeek in Cina. Ma anche tra le Big Tech molti si stanno iniziando a porre il tema: quando si passerà dalla fase in cui le imprese, i fondi di venture capital e le start-up investiranno massicciamente in Ia a quella in cui il sistema farà soldi (e si attendono molti soldi!) con l’Ia stessa? Questa domanda è l’uovo di Colombo dell’attuale rivoluzione tecnologica. E del resto, a ben guardare, sia le parole di Altman sia il report del Mit non devono sorprendere.

Sul primo fronte, Altman dice una verità propria del capitalismo americano in ogni contesto di grande entusiasmo e forte novità: ogni sfida sistemica ha vincitori e vinti e visti i capitali scommessi ci sarà chi, oggi, sta puntando denaro sull’Ia o sulle tecnologie ad essa collegate senza garanzia di poter un domani trarvi profitto. Le stesse manovre di ingegneria industriale con cui l’amministrazione Trump sta operando per sostenere aziende come Intel in nome della competizione tecnologica con Pechino mostrano quanto articolata sia la partita dell’economia dell’innovazione a stelle e strisce e quante le perdite, oltre che i guadagni, potenzialmente sdoganabili.

Sul secondo, a ben riflettere un dato è chiaro: l’Ia è entrata in campo in molti settori come una svolta dirompente senza integrarsi ancora adeguatamente con processi aziendali consolidati o senza riuscire ancora a generare adeguati ritorni di scala proprio perché deve garantire un’ottimale forma di convergenza con il capitale tecnologico e umano delle aziende in cui impatterà. Il Mit cita il mismatch delle competenze e la divergenza tra le culture aziendali pre e post-Ia come un gap inevitabilmente da considerare e superare a livello sistemico nei prossimi anni.

Del resto, nota Debach, “pochi hanno i dati reali sull’efficacia dell’AI, la massa investe per narrativa. Quando emergono segnali contrari, dal MIT alla Cina, passando per Altman, il mercato ricalibra violentemente”. E il rischio bolla torna a far parlare di sé.

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