
L’Europa è un passo avanti rispetto ad altri, ma i punti che lasciano margini d’azione sono ancora numerosi
Partiamo dai fondamentali: le quattro pagine concordate da Usa e Ue sui dazi non sono un vero accordo. Non vincolano nessuno. D’altra parte, non sarà un caso se per accordi veri e propri serve molto più tempo. Per il Ceta con il Canada ci sono voluti cinque anni. Detto questo, l’Europa è un passo avanti rispetto ad altri: le intese con Regno Unito e Giappone, per esempio, non sono mai state scritte. I punti che lasciano margini d’azione sono ancora numerosi.
Le incognite sul petrolio
Prendiamo l’energia. L’impegno è quello di importare dagli Usa 750 miliardi di dollari (640 miliardi di euro) di beni energetici in tre anni tra petrolio, gas liquefatto e prodotti nucleari. Non poco, visto che l’Europa (dati della Commissione Ue) nel 2024 ha importato oil&gas per 375 miliardi di euro, di cui solo 76 miliardi dagli Stati Uniti: per mantenere l’impegno dovrebbe quasi triplicare le importazioni e salire a 216 miliardi circa, pari al 60% del totale. Posto che a comprare sono le aziende e che queste sono libere di acquistare da chi vogliono, le criticità sono anche altre. La prima riguarda il greggio. La Ue ne importa il 16% dagli Usa, ma aumentare la quota non è semplice «perché – spiega Gianni Murano, presidente Unem – il grezzo americano è qualitativamente più leggero mentre le raffinerie europee lavorano miscele di grezzi medi e pesanti. Per utilizzarlo dobbiamo miscelarlo con grezzi di altre provenienze».
Gnl e nucleare
Per il gnl, gli Stati Uniti già sono il primo fornitore Ue con il 45%, ma secondo Pier Lorenzo Dell’Orco, presidente di Proxigas, c’è ancora spazio. «Nel 2024 – spiega – la Ue ne ha importato il 19% da Mosca e la previsione è che quest’anno dalla Russia ne arrivi ancora il 13-15% con l’obiettivo di azzerare completamente. Da qui potrebbe aprirsi la finestra per il gnl di altri Paesi come gli stessi Usa». Per il nucleare, che per il momento non riguarda l’Italia, Washington si è già attrezzata. «Westinghouse – spiega Stefano Monti, presidente Ain – ha riprogettato il suo combustibile per poterlo installare nei reattori degli ex Paesi dell’Est che hanno centrali Urss e utilizzano combustibile russo».
Obblighi per le aziende?
Secondo l’accordo, le imprese dell’Ue avrebbero «espresso interesse a investire almeno 600 miliardi di dollari (circa 550 miliardi di euro) in vari settori negli Stati Uniti entro il 2029, aumentando ulteriormente i già significativi 2.400 miliardi di euro». In realtà in un’economia di mercato le aziende non possono essere obbligate a rifornirsi in un Paese o in un’altro. Possono essere al massimo segnalate delle opportunità. E questo è probabilmente molto chiaro anche ai negoziatori Usa.
Apertura sull’acciaio
È vero che su acciaio e alluminio restano i dazi al 50%. Però il testo messo nero su bianco lascia aperta la strada alla definizione di una soglia di esportazioni libera da tariffe. Si tratta ora di portare a termine questo tipo di confronto.
Ottimismo sull’auto
La disponibilità ad abbassare dal 27,5 al 15% i dazi su auto e componentistica è condizionata non al cambiamento dei vincoli sulle importazioni Usa ma al semplice avvio di un iter legislativo. Questo significa, che potrebbe entrare in vigore a brevissimo.
L’impatto sui chip
Ed è su una maggiore apertura verso l’auto che si gioca anche un’altra partita, quella dei chip. L’Europa, con anche l’Italia, negli ultimi anni ha aumentato l’export verso gli Usa di chip per il settore auto, la robotica industriale e le macchine industriali. «Prima – spiega Cosimo Musca, presidente Anie Componenti elettronici – le tariffe erano bassissime, 3% se non nulle. Ora con il 15%, dobbiamo capire bene quali saranno i dettagli applicativi». L’impatto stimato dalla federazione è di oltre 800 milioni.
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