
La stabilità del sistema elettrico
Il paradosso della transizione: rinnovabili sì, ma non trascuriamo la vulnerabilità
In molti Paesi la quota di energia da fonti rinnovabili, soprattutto solare ed eolica, è cresciuta rapidamente negli ultimi anni. Tuttavia, senza un adeguato potenziamento delle tecnologie di stabilizzazione della rete elettrica (come sistemi di accumulo, smart grid, interconnessioni), questa crescita espone a blackout, instabilità e costi sociali elevati.
Il caso della penisola iberica: blackout e lentezza nelle risposte
In aprile 2025, com’è noto, un blackout ha colpito Spagna e Portogallo, lasciando 55 milioni di persone senza corrente per oltre 12 ore. La causa non è stata un picco di rinnovabili, ma una rete non abbastanza moderna per gestire l’improvvisa caduta di produzione ovvero la mancanza di “inerzia di sistema” garantita dalle centrali tradizionali. L’evento ha evidenziato la necessità di tecnologie come gli inverter “grid-forming” e batterie per il bilanciamento e la stabilità.
Un inverter tradizionale (detto grid-following) si limita a immettere energia rinnovabile (da solare o eolico) seguendo la frequenza e la tensione già stabilite dalla rete, tipicamente generate da centrali termoelettriche o idroelettriche.
L’inverter grid-forming, invece, non si limita a seguire la rete: contribuisce attivamente a “formarla”, fornendo i servizi di stabilizzazione che in passato erano garantiti dalla massa rotante delle turbine tradizionali.
Come risposta al blackout, il Portogallo ha stanziato 400 milioni di euro per potenziare le batterie di rete e migliorare la capacità di “black start” degli impianti, passando da meno di 20 MW a 750 MW di accumulo, e rafforzando infrastrutture cruciali come la diga di Alqueva. Anzi, il governo portoghese ha sollecitato l’UE a sostenere il processo di digitalizzazione e ammodernamento delle reti, stimando che servano 584 miliardi di euro entro il 2030 solo in Europa.
Barriere economiche e normative: difficile investire
Costi elevati e ritorni ancora incerti
Le tecnologie per stabilizzare la rete richiedono ingenti investimenti iniziali, con dinamiche di remunerazione che spesso non sono ancora chiare. Questo rende più facile, per governi e investitori, il sostegno diretto alla sola produzione rinnovabile, piuttosto che infrastrutture “invisibili” come le batterie.
Disparità nei flussi di investimento
Nel 2023, l’investimento globale nella rete elettrica ha raggiunto i 310 miliardi di dollari, ma l’attenzione alla capacità di accumulo era ancora marginale. Nel 2024, la sola tecnologia di stoccaggio ha attratto 19,9 miliardi, con una crescita del 5% rispetto all’anno precedente; tuttavia, il capitale di rischio è diminuito drasticamente, mentre aumentano i finanziamenti tramite debito e simili. Ciò indica maggiore riluttanza e prudenza da parte degli investitori privati.
Rischi regolatori e strutture di mercato deboli
Spesso gli impianti di storage non godono di modelli chiari di remunerazione (capacità, servizio, energia) e questo ne frena l’adozione. A livello globale, soltanto di recente è emersa la spinta a livello istituzionale: alla COP29, oltre 65 Paesi hanno firmato il “Global Energy Storage and Grids Pledge”, impegnandosi a raddoppiare gli investimenti in rete e storage entro il 2030 per supportare la transizione verde.
Idroelettrico: stabilità naturale, ma non senza ostacoli
L’idroelettrico e lo “pumped storage” rappresentano una delle soluzioni più robuste per l’accumulo a lungo termine e la stabilità di rete: in pratica, quando c’è eccesso di energia (ad esempio nelle ore di forte produzione solare o eolica), l’elettricità viene usata per pompare acqua da un bacino inferiore a uno superiore. Nel 2024, la generazione globale da idroelettrico è cresciuta del 10%, con un pipeline superiore a 1.000 GW. Tuttavia, questi progetti sono costosi, richiedono tempi lunghi, e spesso suscitano controversie ambientali e sociali (come nel caso del progetto Snowy 2.0 in Australia).
Problematiche per la resilienza elettrica
Grid obsoleti e frammentati: molti Paesi in via di sviluppo non hanno infrastrutture adeguate per integrare rinnovabili variabili.
Anche se i costi delle batterie diminuiscono, la sfiducia persiste: i prezzi delle batterie sono diminuiti del 20% nel 2024, indicativamente intorno ai $115/kWh, e si prevede possano scendere sotto i $100/kWh. Malgrado ciò, l’incertezza normativa frena ancora gli investimenti.
C’è una nuova spinta, ma è lenta ad affermarsi: benché la COP29 abbia segnato un punto di svolta istituzionale, l’implementazione reale richiede tempo e volontà politica concreta.
La transizione energetica mostra il suo lato più fragile nella rete: una crescita rapida delle rinnovabili senza infrastrutture all’altezza crea sistemi vulnerabili. Soltanto combinando produzione verde e infrastrutture resilienti (storage, smart grids, interconnessioni) si potranno evitare instabilità e blackout. La direzione è chiara, ma servono scelte coraggiose e politiche lungimiranti.
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