24 Agosto 2025
Ai anche boh. L’Intelligenza artificiale? Le aziende non sanno che farci, dice uno studio del Mit


A quanto pare le imprese non stanno utilizzando veramente bene le innovazioni rese possibili dall’Intelligenza artificiale. E forse per noi umani è anche meglio che le cose vadano così. Certo è che il rapporto del MIT “State of AI in Business 2025” fa una certa impressione: la stragrandissima maggioranza delle aziende che stanno operando ora nel campo dell’intelligenza artificiale generativa non hanno ricavi. E solo il 5% di queste imprese ci guadagna qualcosa. Il rapporto, elaborato dal team di ricerca MIT Nanda (Networked Agents and Decentralized AI), ha analizzato oltre 300 iniziative nel campo dell’IA, conducendo interviste aziendali e somministrando questionari raccolti in conferenze di settore.

A volte ce lo dimentichiamo, ma quando c’è un’innovazione tecnologica la stragrande maggioranza di coloro che si affacciano su nuovi mercati, o tentano di perseguire nuovi modi di produrre, fallisce miseramente. È il capitalismo, funziona così. Per questo il risultato è sorprendente fino a un certo punto: nonostante investimenti compresi tra 30 e 40 miliardi di dollari, il 95% dei progetti di intelligenza artificiale generativa non produce alcun impatto concreto sui conti aziendali.

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La ricerca evidenzia quello che gli esperti chiamano GenAI Divide, ovvero una frattura netta tra chi ha successo e chi finisce con i libri in tribunale. Solo una piccola élite di progetti pilota genera valore, con ritorni milionari, mentre la stragrande maggioranza resta ferma ai blocchi di partenza. E non è questione di regolamentazione o di qualità dei modelli: il problema sta nell’approccio adottato dalle aziende.

Gli strumenti più popolari come ChatGPT e Copilot hanno raggiunto tassi di adozione superiori all’80%, ma il loro impatto si limita alla produttività individuale, senza influenzare significativamente i margini operativi. I sistemi personalizzati per le imprese incontrano resistenze ancora maggiori: il 60% delle aziende li valuta, ma solo il 20% arriva a testarli e appena il 5% li implementa effettivamente.

Un fenomeno interessante emerge dall’analisi settoriale: su nove comparti analizzati, solo tecnologia e media mostrano segni di vera trasformazione strutturale. In settori cruciali come sanità, finanza, retail e manifatturiero l’adozione rimane superficiale, con sperimentazioni che non producono effetti significativi. I risparmi concreti si manifestano principalmente nella riduzione delle spese per servizi esterni: tra 2 e 10 milioni di dollari l’anno in servizi al cliente ed elaborazione documenti, e fino al 30% in meno di costi per le agenzie creative.

Un aspetto particolarmente interessante emerge nella cosiddetta “shadow AI economy”: oltre il 90% dei dipendenti ammette di utilizzare regolarmente strumenti di AI generativa personali, mentre solo il 40% delle aziende ha acquistato licenze ufficiali. Questo uso non autorizzato spesso produce risultati più concreti dei progetti formali, suggerendo che l’AI sta già trasformando il lavoro, ma non attraverso i canali ufficiali. Sul fronte degli investimenti, emerge un paradosso: circa il 70% dei budget per le AI è destinato a vendite e marketing. Le applicazioni con il ritorno più alto si trovano nei processi di back office, come procurement, finanza e automazione documentale, che spesso rimangono trascurati.

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