
Gli Stati Uniti puntano tutte le proprie risorse sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale, mentre hanno rinunciato alla corsa con la Cina sulle tecnologie green. Questo è potenzialmente molto più dannoso, per la crescita americana a lungo termine, delle guerre commerciali del tycoon. Intanto l’inflazione avanza
Gli Stati Uniti puntano tutte le proprie risorse sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale, mentre hanno rinunciato alla corsa con la Cina sulle tecnologie green. Questo è potenzialmente molto più dannoso, per la crescita americana a lungo termine, delle guerre commerciali di Trump
Il secondo mandato di Trump continua a essere caratterizzato da colpi di scena e da cambi di direzione che rendono difficile, per alleati e avversari, elaborare strategie di lungo periodo. Sulla scena internazionale, una delle letture del vertice di Anchorage sull’Ucraina è il tentativo di riammettere Putin nel consesso internazionale (ammesso che ne fosse stato escluso: in questi anni la Russia ha tessuto legami e accordi commerciali con molti paesi non occidentali) cercando di separarlo dalla Cina, il vero avversario degli Stati Uniti. In difficoltà nel mantenere l’egemonia economica, gli Stati Uniti cercherebbero di far leva sulla propria supremazia politica e militare.
Ma come sta l’economia degli Stati Uniti? In questi mesi ci si è molto concentrati sull’effetto delle politiche di Trump sulla crescita a breve e medio periodo, cercando di quantificare l’impatto dei dazi sulla forza lavoro e sulla crescita. Se in un primo momento, nel caos di annunci, controannunci e marce indietro, le imprese hanno provato ad assorbire i maggiori costi legati ai dazi comprimendo i margini di profitto, ora che il quadro si fa un po’ più chiaro i prezzi aumenteranno sia per i beni di consumo che per i beni intermedi utilizzati dalle imprese per la produzione.
Salvo grandi stravolgimenti, l’inflazione aumenterà significativamente nei prossimi trimestri, con un impatto importante su potere d’acquisto, costi di produzione, consumi e investimenti. La stagflazione, una combinazione di crescita debole e inflazione sostenuta, è uno scenario probabile. Ciononostante, occorre mantenere il senso delle proporzioni: anche nel più che probabile caso di un rallentamento a breve termine, l’economia statunitense continuerà a fare meglio ad esempio di gran parte delle economie europee. Non è questo che dovrebbe preoccupare gli economisti americani. A destare preoccupazione dovrebbero essere alcune tendenze strutturali che le politiche di Trump stanno pericolosamente accelerando.
Le uova nel paniere dell’IA
In primo luogo, il motore della crescita di lungo periodo sembra perdere colpi. Qualche giorno fa un articolo sul sito di Reuters evidenziava come il sistema produttivo americano abbia messo tutte le uova in un solo paniere: se gli investimenti in settori legati all’intelligenza artificiale sono cresciuti (al netto dell’inflazione) del 53 per cento dal 2020 a oggi, l’investimento negli altri settori è rimasto stagnante (+0,3 per cento). Nella prima metà del 2025 il contributo alla crescita dell’investimento non legato alle tecnologie dell’informazione e al software è stato addirittura negativo, una cosa che è avvenuta solo una manciata di altre volte dal 1960 ad oggi (e quasi sempre in caso di crisi economiche). Questo divario tra un settore high-tech iperattivo e un’industria tradizionale che fatica a innovarsi crea un pericoloso dualismo.
La produttività, che è l’unico vero motore di una crescita sana e non inflazionistica, non può dipendere esclusivamente da un unico comparto, per quanto innovativo. Anche perché l’introduzione dell’intelligenza artificiale potrebbe incontrare difficoltà che ne rallenteranno la diffusione. Un interessante articolo del Financial Times evidenziava nei giorni scorsi come l’addestramento dei grandi modelli di apprendimento del tipo ChatGpt si stia rivelando più complesso e costoso del previsto a causa di algoritmi e data center energivori e di una ridotta disponibilità di contenuti liberamente disponibili.
Questo non vuol certo dire che l’intelligenza artificiale sia una bolla. È fortemente probabile che il suo impatto sull’economia e sulla produttività sarà pari a quello delle grandi innovazioni del ventesimo secolo. Ma probabilmente, prima che i massicci investimenti che si stanno riversando sul settore diventino redditizi, passerà più tempo di quanto gli ottimisti credano. Detto altrimenti, gli Stati Uniti stanno mettendo tutte le loro fiches in un settore che per quanto promettente, non si sa quando e in che modo darà il suo contributo alla crescita della produttività.
Tecnologie green cinesi
Nei primi mesi del suo mandato Trump ha esacerbato questa tendenza mettendo ostacoli tra le gambe di un altro settore il cui potenziale impatto sulla produttività e sulla crescita è smisurato: la transizione ecologica. Mentre l’amministrazione Biden aveva cercato di ridare un ruolo di primo piano agli Stati Uniti nello sviluppo delle energie rinnovabili, l’attuale inquilino della Casa Bianca, climatoscettico dichiarato, sta smantellando un sistema di investimenti e incentivi al green che accanto all’obiettivo di rallentare il cambiamento climatico aveva anche l’ambizione di rilanciare l’industria e la crescita americana a fronte della rapida ascesa della Cina, che sta facendo della transizione energetica uno dei motori della propria crescita.
Si prenda il caso dei pannelli solari, con il 40 per cento della potenza fotovoltaica del pianeta installata in Cina, che controlla più dell’80 per cento della produzione mondiale. O ancora il caso emblematico delle auto elettriche, per le quali la Cina non è solo il più grande mercato al mondo, ma domina lungo tutta la filiera produttiva; il 70 per cento della capacità globale di produzione delle batterie agli ioni di litio, il cuore e il costo principale delle auto elettriche, è sotto il controllo di imprese cinesi. Con modelli sempre più sofisticati e a prezzi contenuti, nel 2024 i produttori cinesi avevano una quota del mercato globale dell’auto elettrica del 55 per cento, in forte aumento.
Questo dominio non è frutto del caso, ma dell’aver puntato sulle tecnologie del futuro con una strategia industriale di lungo termine, in cui investimenti colossali e sussidi si accompagnano alla creazione di ecosistemi integrati che consentono di ridurre i costi e indirizzare gli investimenti sulle fasi del processo produttivo più promettenti in termini di innovazione e competitività.
L’esempio più lampante di questa integrazione è il produttore di auto elettriche BYD che controlla del tutto o in parte tutte le fasi della produzione, dal software ai semiconduttori, arrivando addirittura ad avere quote di partecipazione nelle società minerarie che estraggono i minerali necessari alla produzione di batterie.
Make America Small Again
Per la prima volta da quasi un secolo gli Stati Uniti inseguono sulle trasformazioni tecnologiche che plasmeranno l’industria del futuro. Biden aveva accettato la sfida e cercato di trasformare la transizione ecologica in un’opportunità di crescita, attraverso una politica industriale multidimensionale non dissimile a quella attuata dalle autorità cinesi. Trump invece prova a preservare l’egemonia economica americana attraverso un “dominio energetico” fondato sulle energie fossili, di cui gli Stati Uniti sono produttori ed esportatori. Tuttavia, vista la rapidità con cui calano i costi delle energie rinnovabili, è solo questione di tempo prima che la strategia trumpiana diventi una zavorra per la competitività americana. Make America Small Again?
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