26 Agosto 2025
“Investimenti e treno, l’aeroporto di Orio sarà ancora più competitivo. In Italia urge una riforma dei taxi”


Innovazioni tecnologiche, investimenti, rinnovamento delle infrastrutture e una forte spinta sull’intermodalità: il settore dei trasporti, da quelli su gomma a ferrovie e aeroporti, è attraversato da una profonda fase di cambiamento, dettata anche da tematiche ambientali e di sostenibilità. Un cambiamento che, a volte, trova però ancora alcune, decisive, resistenze che lasciano l’Italia ferma al palo nella fondamentale partita della competitività, come nel caso di una riforma dei taxi.

Tutte tematiche delle quali si occupa Andrea Giuricin, economista dei trasporti all’Università di Milano Bicocca

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Giuricin, come sta cambiando il mondo dei trasporti in Italia?

Negli ultimi anni i diversi governi che si sono succeduti hanno dato un indirizzo chiaro verso il settore ferroviario, sostenuto con diversi investimenti, ma i risultati non sono ancora così evidenti: in Italia lato merci abbiamo una quota modale dell’11% su ferro, contro una media europea del 18-19%. La Svizzera, nostra vicina di casa, si attesta addirittura al 35%. Siamo distanti dal target europeo e dagli esempi più virtuosi. Escludendo in questa analisi il trasporto aereo e le pipeline, la restante parte viaggia su gomma.

C’è una spiegazione a questa percentuale che fatica a crescere? 

C’è innanzitutto un tema infrastrutturale, con tanti colli di bottiglia sulla rete, ma anche un tema più ampio relativo a un mercato europeo del settore che non è ancora stato adottato, al contrario di quanto succede in campo aeronautico. Immaginiamo un trasporto merci da Milano a Chiasso. Cosa succede oggi? Al confine bisogna cambiare macchinista e locomotiva, perché non sempre c’è una continuità e tecnologicamente potrebbe non essere adatta. Con conseguente aumento di costi. In teoria esiste già uno “Schengen ferroviario”, ma nella pratica non c’è: il trasporto aereo ha già superato questa fase, abbattendo anche la prima barriera, quella linguistica.

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Guardando proprio ai cieli, possiamo dire che il mercato nel post Covid è esploso. 

Vero, è un settore che sta crescendo molto e anche nel primo semestre di quest’anno è stato stabilito un nuovo record di passeggeri. Il 2025 potrebbe chiudersi con 194/195 milioni di passeggeri trasportati, un numero elevatissimo se consideriamo che il 2019 si era chiuso a 161. Oltre trenta milioni di passeggeri in più, con di mezzo una pandemia, è un dato davvero sorprendente. Questo perché il mercato aereo italiano è molto attrattivo e può contare su un buon sistema aeroportuale: nel solo primo semestre ha fatto segnare un incremento di 5 milioni rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Facciamo un passo indietro: perché secondo lei questa “riscoperta” del trasporto su ferro che negli scorsi decenni non godeva di grandissima considerazione? 

Ciò che ha veramente fatto la differenza è stato l’arrivo dell’alta velocità, a metà anni 2000, e la costruzione della grande infrastruttura Milano-Roma nel 2009. Chiaro però che tutto sta nel vedere di cosa necessita ogni singolo collegamento, perché non sempre la ferrovia è la soluzione. È altrettanto evidente, però, che il ferro può trasportare tante persone in poco spazio e per questo è considerato il vero mezzo di trasporto di massa. Gli investimenti devono andare sempre dove porta la domanda, dove in sostanza sia profittevole farla. Ora con l’alta velocità siamo già al passaggio successivo, con l’arrivo della concorrenza privata: un processo che ha cambiato la percezione dei consumatori e oggi vediamo un traffico più che doppio rispetto al 2011, anno precedente le liberalizzazioni. Mediamente i prezzi sono calati ed è aumentata tantissimo la frequenza dei treni, oltre 160 al giorno tra Milano e Roma, con punte di una corsa ogni 7-8 minuti negli orari di punta. La concorrenza Italo-Frecciarossa ha fatto sì che il servizio cambiasse in meglio, migliorando la percezione del treno. Non dimentichiamo poi che oggi il sistema si divide in due, tra gestione dell’infrastruttura e gestione operativa, mentre fino a 25 anni fa veniva pensato come un tutt’uno.

Ci sono anche città, come Bergamo, che hanno rilanciato il tram a distanza di decenni. Quanto può aver impattato, su questa scelta, la nuova sensibilità al tema della sostenibilità? 

Sicuramente l’ambiente può aver rappresentato un fattore e sappiamo benissimo anche di tutti gli sforzi che si stanno facendo nel settore aereo. Giustamente è un aspetto che è diventato sempre più rilevante anche nelle scelte, perché il trasporto su rotaia ha un impatto ambientale più basso rispetto a quello su gomma.

Il prossimo anno entrerà in funzione anche il nuovo collegamento ferroviario con l’aeroporto di Orio al Serio. 

Un intervento che rientra nella logica dell’intermodalità, uno dei temi più importanti di questi anni e diventato di rilevanza strategica anche in ottica Pnrr. Un aeroporto collegato con un treno cambia la percezione di come si arriva al terminal, soprattutto nella facilità di arrivo, senza code o intoppi. Porto un’esperienza personale: da oltre 20 anni sfrutto l’aeroporto di Orio al Serio per i miei viaggio e da sempre c’è l’incertezza legata al traffico sulla rete stradale, dalla tangenziale all’autostrada A4. Quell’incertezza fa perdere competitività, la stessa che lo scalo guadagnerà da questo nuovo collegamento che garantirà tempi certi e comodità di arrivo in quello che, non dimentichiamolo, è il terzo aeroporto italiano e che si sta rinnovando ulteriormente.

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Un rinnovo che negli anni è stato passato dai tanti investimenti messi in campo da Sacbo, la società di gestione.

È vero e mi auguro che sempre più spesso e urgentemente i gestori aeroportuali siano sostenuti in queste loro operazioni di miglioramento. La grande crescita del trasporto aereo ha un rovescio della medaglia: rischiamo di avere infrastrutture sature molto prima di quanto preventivato. Se non ci sono investimenti a breve si ritroveranno senza spazi idonei e aeroporti congestionati non funzionano bene. Altrettanto importante è che la burocrazia non diventi il solito freno italiano agli investimenti già in corso o previsti: il governo deve avere tra le proprie priorità uno sblocco di queste iniziative, perché il rimbalzo del traffico post Covid è andato sicuramente oltre le rosee aspettative dei gestori che, alla luce dei dati, dovranno probabilmente accelerare negli investimenti necessari e che, di fatto, verranno poi ripagati da chi utilizza l’aeroporto, che siano passeggeri o compagnie aeree.

C’è un tema, legato sì all’aeroporto ma a più ampio raggio a tutto il sistema del trasporto italiano, che le sta particolarmente a cuore: i taxi. Cosa non va in Italia e come si può riformare il settore? 

Quella dei taxi è una situazione tutta italiana: ne abbiamo pochi e da 20 anni siamo rimasti praticamente fermi in termini di offerta, mentre tutto intorno abbiamo assistito a un boom di turisti internazionali che affollano il nostro Paese. Basta guardare all’esempio proprio di Orio al Serio: quanti passeggeri trasportava nel 2005 e quanti ne trasporta oggi? La risposta a una domanda così elevata non può essere la stessa di allora. Il problema è che la mobilità on demand non si trova, è quasi impossibile trovare un mezzo. Ma il problema va risolto a livello nazionale con una riforma seria, come già successo in Francia, Portogallo e in tanti altri Paesi europei, aumentando l’offerta almeno per soddisfare la domanda che è cresciuta a dismisura. In Lombardia si contano 5.800 taxi, la maggior parte dei quali con base a Milano, e mille Ncc. Nella solo prefettura di Parigi, che ha 8,2 milioni di abitanti contro i 10 milioni della Lombardia, ci sono 19.000 taxi e 40mila Ncc. Madrid, con 6,5 milioni di abitanti, ne ha rispettivamente 16mila e 9mila. Sono numeri che mostrano chiaramente quanto sia grande la difficoltà del settore in Italia. Una riforma in questo senso può davvero cambiare la mobilità delle città, perché è ampiamente dimostrato che tramite le piattaforme, senza fare nomi, è semplicissimo muoversi. Succede ovunque nel mondo, anche in Etiopia, Sudafrica, Malesia, Singapore. Ovunque ci siano questi servizi, a prescindere dal nome del gestore, ci sono un’offerta che funziona e una mobilità diversa. In Italia, invece, c’è una legge quadro del 1992 che blocca qualsiasi evoluzione. I disservizi ci sono ovunque, non sono io a dirlo: lo ha detto la Corte Costituzionale, l’Antitrust, l’Autorità di Regolazione dei Trasporti. Una riforma non c’è mai stata perché non si è mai voluto andare a intaccare questi diritti acquisiti.

Lei si è fatto portavoce di Muoviti Italia, una coalizione trasversale nata per promuovere una riforma strutturale della mobilità on-demand in Italia. Qual è l’obiettivo? 

Convinti che dalla concorrenza possono derivare solo grandi benefici, abbiamo lanciato questa coalizione, alla quale hanno aderito diversi attori non solo dello specifico settore: ci sono compagnie aeree, Conftrasporto, la Federazione Muoversì, l’Associazione Ncc Italia, Flixbus. Vogliamo portare avanti l’idea di una mobilità urbana più accessibile, tecnologica, sostenibile e inclusiva. Supportiamo esternamente la proposta di iniziativa popolare presentata proprio da Muoversì e dai Radicali. Ma supportiamo anche la proposta di riforma portata di recente in Parlamento da Forza Italia. Siamo a favore del cambiamento, perché non ne ha bisogno solo la mobilità on-demand ma tutto il sistema Italia, dalle altre tipologie di trasporto fino al turismo, ai ristoratori, agli albergatori e a tutti i cittadini.

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