
Mario Dragi torna alla carica. Un anno dopo la consegna alla Commissione europea del suo Rapporto sulla competitività, ribadisce con forza un concetto che dovrebbe costituire la bussola delle politiche comunitarie: l’innovazione è necessaria perché senza innovazione l’Europa farà fatica a crescere e non avrà futuro geopolitico.
“Nessun continente, nessuno Stato che voglia avere potere geopolitico e voglia preservare la propria esistenza dal punto di vista economico e sociale può rimanere indietro con l’innovazione dalle tecnologie dirompenti», ha detto martedì 26 agosto Mario Draghi dal palco del Lindau Nobel Meeting, davanti a premi Nobel ed economisti di fama internazionale. Durante un talk dedicato a “ricerca e innovazione in un mondo do tripolare” l’ex premier italiano ha rinnovato il suo monito: il Vecchio Continente non può permettersi di restare indietro nella corsa alle tecnologie dirompenti, pena l’irrilevanza nello scacchiere globale (Clicca qui per vedere il talk a cui ha partecipato Mario Draghi)
Dal Rapporto 2024 al talk 2025: il filo rosso di Draghi
Quando nel settembre 2024 Draghi presentò a Bruxelles le sue conclusioni, il Rapporto mise in luce tre nodi principali: frammentazione dei mercati interni, debolezza degli investimenti in ricerca e sviluppo, ritardi nell’adozione dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie green. La diagnosi era accompagnata da una proposta di cura radicale: creare un mercato unico dell’innovazione e rafforzare la capacità fiscale dell’Unione per sostenere investimenti su scala continentale.
A Lindau, Draghi non ha fatto che rilanciare quel messaggio, ricordando che un’Europa lenta, burocratizzata e divisa rischia di diventare irrilevante rispetto a Stati Uniti e Cina.
Focus – I punti chiave del Rapporto Draghi sulla competitività
- Investimenti in ricerca e sviluppo: UE al 2,2% del Pil, contro 3,4% USA e oltre 2,5% Cina.
- Mercati dei capitali: troppo frammentati, servono strumenti comuni per finanziare l’innovazione.
- Tecnologie critiche: intelligenza artificiale, semiconduttori, energie pulite, aerospazio come aree strategiche da presidiare.
- Frammentazione normativa: regolamenti eccessivamente differenziati tra Paesi membri che frenano la scalabilità delle imprese.
- Proposta: costruire un vero mercato unico dell’innovazione, sostenuto da un bilancio europeo capace di finanziare progetti su larga scala.
- Visione geopolitica: senza innovazione, l’Europa rischia un declino irreversibile anche sul piano del potere negoziale globale.
L’innovazione come leva di potere
Il concetto chiave è che l’innovazione non è più una variabile di crescita, ma un fattore di sovranità geopolitica. Chi controlla l’intelligenza artificiale, i semiconduttori, l’aerospazio o le tecnologie verdi stabilisce anche gli standard globali, influenza i mercati e detta l’agenda politica. Non si tratta quindi solo di modernizzare l’economia, ma di difendere il peso negoziale dell’Europa.
Nel Rapporto, Draghi aveva quantificato la distanza: gli investimenti in R&S europei sono circa il 2,2% del Pil, contro il 3,4% degli Stati Uniti e oltre il 2,5% della Cina. A Lindau, quella forbice è tornata come monito: “Quando si resta indietro su queste tecnologie, il recupero è difficile, spesso impossibile”.
La necessità di un mercato unico dell’innovazione
Su EconomyUp abbiamo segnalato spesso quanto la frammentazione normativa rappresenti uno dei principali ostacoli per la crescita di startup e scaleup e quindi per lo sviluppo dell’innovazione. A Lindau Draghi lo ha ribadito con chiarezza: regolamenti diversi, mercati nazionali chiusi e duplicazioni burocratiche impediscono di creare campioni industriali capaci di competere con le big tech globali.
Il richiamo a un mercato unico dell’innovazione non è quindi una suggestione astratta, ma una condizione necessaria per attrarre capitali e talenti.
Draghi boccia l’AI Act europeo
A Lindau, sul lago di Costanza, Mario Draghi ha boccato di fatto l’AI Act europeo, definendolo addirittura controproducente. «Quando si entra in nuovi spazi, come le tecnologie dirompenti, le tecnologie di trasformazione come l’IA, è impossibile farlo con regolamentazione ex ante”, ha detto. “Questo è il motivo per cui alcune delle normative europee appena approvate sono obsolete, controproducenti, perché puniscono esattamente il tipo di aziende che abbiamo, le piccole e medie imprese».
Un altro tema che Draghi aveva evidenziato nel Rapporto – e che torna nel discorso di Lindau – è la divergenza tra la velocità dell’innovazione e la lentezza delle decisioni politiche. Le tecnologie dirompenti corrono a ritmi esponenziali, mentre le istituzioni comunitarie faticano a trovare compromessi.
Draghi ha ammonito che senza un’accelerazione la perdita di competitività diventerà permanente, con conseguenze dirette sull’occupazione, sulla produttività e sul ruolo internazionale dell’Europa.
L’agenda Draghi per l’Europa
L’agenda indicata da Draghi è chiara: semplificazione regolatoria, un piano di investimenti pubblici e privati di dimensioni paragonabili all’Inflation Reduction Act americano e alle strategie cinesi, e focus sull’intelligenza artificiale e sulle tecnologie della transizione ecologica.
Si tratta di mettere finalmente in pratica ciò che, come abbiamo scritto su EconomyUp, “è già sulla scrivania dei decisori europei da tempo, ma è rimasto intrappolato nei meccanismi della governance comunitaria”.
La battaglia di Draghi
Con il suo intervento al Lindau Nobel Meeting, Draghi conferma il ruolo che ha scelto di assumere: non più alla guida di un governo, ma come economista che obbliga l’Europa a guardarsi allo specchio. La sua diagnosi può sembrare dura, ma riflette una realtà che anche le imprese europee percepiscono ogni giorno: senza una strategia comune sull’innovazione, il continente rischia di diventare spettatore della nuova economia globale.
Il Rapporto sulla competitività e il discorso di Lindau vanno quindi letti insieme: il primo come documento programmatico, il secondo come monito politico. Un anno dopo, il messaggio resta lo stesso: l’Europa ha poco tempo per decidere se vuole essere protagonista o comprimaria della storia economica mondiale.
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